Le due «voci» by Alberto Mazzuca & Giancarlo Mazzuca

Le due «voci» by Alberto Mazzuca & Giancarlo Mazzuca

autore:Alberto Mazzuca & Giancarlo Mazzuca [Mazzuca, Alberto & Mazzuca, Giancarlo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Giuseppe Prezzolini e Indro Montanelli sono stati le «voci» della cultura di destra in Italia: non solo per il loro carattere intellettuale, sempre votato all’indipendenza di riflessione e azione, ma anche per le parallele avventure de «La Voce», una testata che ha rappresentato nelle sue due manifestazioni non soltanto un ponte di continuità, ma anche un baluardo per gli ideali liberali e conservatori, di cui Prezzolini e Montanelli sono stati interpreti ed esponenti. Questo saggio, scritto congiuntamente da Alberto e Giancarlo Mazzuca, intende omaggiare la caratura e la valenza ancora contemporanea di due figure così cardinali, ricostruendo nel dettaglio una doppia esperienza che ha segnato la storia del giornalismo italiano. Prezzolini, infatti, fonda la sua «Voce» nel 1908 e la fa diventare uno dei più importanti punti di riferimento del mondo culturale, politico e sociale del Paese. Più breve e controverso il percorso della «Voce» di Montanelli: il quotidiano, “rifondato” nel marzo del 1994, quando il giornalista di Fucecchio decide di prendere le distanze dal centrodestra di Berlusconi, chiuderà amaramente i battenti solamente un anno dopo, rimanendo però saldo nell’immaginario collettivo quale esempio di libertà e rigore professionale. Controcorrente, coraggiosi, lucidi e dotati di tagliente ironia, Prezzolini e Montanelli risaltano in queste pagine limpide e appassionate come due maestri ancora vividi e attuali cui il pensiero culturale di destra può attingere nel tempo per ritrovarsi e rinnovarsi.
editore: Baldini+Castoldi
pubblicato: 2024-02-29T18:11:08+00:00


Seconda parte.

Una «Voce» di troppo

8.

«Bye bye Silvio!»

«Nessuno tra coloro che mi hanno maledetto e

ripudiato si è chiesto se io, uscendo dal “Giornale”,

facessi i miei interessi o no. Era mio interesse

restare in via Negri: il Cavaliere era disposto a

chissà quali premi se accettavo di essere il

direttore di un giornale berlusconiano;

probabilmente mi avrebbe promosso al Quirinale.»

Indro Montanelli

Il grande idillio tra Silvio Berlusconi e Indro Montanelli cominciò dopo quella calda mattina del 2 giugno 1977, festa della Repubblica, quando il toscano di Fucecchio venne preso di mira, davanti ai giardini pubblici di via Palestro, da tre uomini appartenenti alle colonne milanesi delle Brigate Rosse «Walter Alasia» che lo gambizzarono. Indro riuscì a salvarsi perché si aggrappò alla cancellata che delimitava i giardini, vicinissimi alla sede di allora del «Giornale», e così evitò che l’ultimo dei quattro colpi che gli spararono contro fosse letale colpendolo più in alto. Le BR, ha raccontato Marco Travaglio (Indro: il 900), rivendicarono subito l’attentato contro «la firma più nota del giornalismo italiano», contro colui che era «anticomunista», «reazionario», «controrivoluzionario da sempre», «fascista mascherato» e «finanziato dalle multinazionali». Proprio in quei mesi, in effetti, la popolarità di Montanelli aveva raggiunto il suo apice dopo avere contribuito, nel 1976, alla vittoria elettorale della Democrazia Cristiana grazie a quel suo famosissimo editoriale in cui invitava i propri lettori a votare scudo crociato «turandosi il naso», uno slogan che ebbe lo stesso successo ottenuto, ventotto anni prima, nel 1948, da Giovannino Guareschi quando, sempre alla vigilia del voto, invitò a non votare i comunisti sentenziando: «Nel segreto della cabina elettorale, Dio ti vede, Stalin no». A proposito di Stalin, Montanelli aveva, sul proprio tavolo di lavoro, un piccolo busto del dittatore georgiano e, a chi gli chiedeva perché mai lo tenesse davanti agli occhi e vicino alla mitica Olivetti 22 (che poi divenne 32), quasi come se fosse elemento d’ispirazione per i suoi articoli, rispondeva sempre: «Perché nessuno ha mai ucciso tanti comunisti come lui!»

Il giorno dopo, la notizia dell’agguato delle BR ebbe grandissimo risalto tranne in alcuni giornali come il «Corriere», dove i titoli dei servizi, anche quelli pubblicati in prima pagina, erano generici perché non venne scritto il nome «Montanelli» ma si parlò di «attentato ad un giornalista» a conferma che, per molti direttori, Indro fosse allora un concorrente troppo scomodo: meglio, insomma, non fare troppa pubblicità al «nemico numero uno». Appena ricoverato in ospedale, il Direttore ricevette la telefonata di Gianni Agnelli, il mitico Avvocato, che, con il suo humor tipicamente britannico, gli domandò: «Montanelli, ma non le era bastata l’Abissinia?» La risposta fu altrettanto secca: «L’unica cosa alla mia portata per tentare di imitarla era procurarmi una zoppia».

Qualche giorno dopo, andò a fargli visita in clinica Silvio Berlusconi, che aveva conosciuto solo poco tempo prima a Milano 2. Quell’incontro portò fortuna al grande giornalista perché il Cavaliere, a una domanda specifica di Indro, dette la sua immediata disponibilità a entrare nell’azionariato della casa editrice del «Giornale» che il toscano aveva fondato tre anni prima e che già si trovava in difficili condizioni finanziarie.



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